UNA SOLA BIBITA “LIGHT” AL GIORNO PUÒ AUMENTARE IL RISCHIO DI DIABETE DEL 38%
- BeLongevity Team
- 29 ago
- Tempo di lettura: 3 min
I dolcificanti artificiali sono stati introdotti con la promessa di offrire un’alternativa più sicura allo zucchero, soprattutto per chi vuole controllare il peso o ridurre il rischio di malattie metaboliche. Tuttavia, nuove evidenze scientifiche ci spingono a riflettere: ciò che sembra una scelta “più sana” potrebbe in realtà nascondere rischi importanti.
Un ampio studio ha seguito 36.608 persone tra i 40 e i 69 anni per circa 14 anni, monitorando le loro abitudini di consumo di bibite zuccherate e “dietetiche”. I risultati sono sorprendenti:
Una sola lattina di bibita dolcificata artificialmente al giorno è stata associata a un aumento del 38% del rischio di sviluppare diabete di tipo 2.
Per confronto, le bevande zuccherate “classiche” hanno mostrato un incremento del rischio del 23%.
Il ruolo del peso corporeo
Quando i ricercatori hanno tenuto conto del peso corporeo, il legame tra bibite zuccherate e diabete è scomparso: in quel caso, era l’aumento di peso a spiegare l’associazione. Diversamente, per le bevande dolcificate artificialmente, il rischio restava presente anche indipendentemente dal peso.
Questo significa che i dolcificanti artificiali potrebbero agire attraverso meccanismi diversi dall’aumento di massa grassa, come l’interferenza con la regolazione della glicemia o l’alterazione del microbiota intestinale.

Possibili spiegazioni biologiche
Le ipotesi avanzate dai ricercatori includono:
Risposta insulinica simile allo zucchero: dolcificanti come l’aspartame possono stimolare la produzione di insulina in maniera paragonabile al saccarosio.
Alterazione del microbiota intestinale: alcuni edulcoranti artificiali riducono la biodiversità batterica, favorendo l’intolleranza al glucosio.
Effetti sistemici a lungo termine: negli ultimi anni, altri studi hanno collegato i dolcificanti artificiali a possibili danni cardiovascolari e a un peggioramento della salute cerebrale.
Un falso senso di sicurezza
Molte persone a rischio di diabete scelgono le bibite “light” o “zero” come alternativa più sicura. Tuttavia, i dati suggeriscono che non si tratta di una strategia priva di conseguenze. Queste bevande sono spesso commercializzate come migliori per la salute, ma i risultati di questi importanti studi indicano che possono comportare rischi specifici che non vanno sottovalutati.
Cosa possiamo imparare?
La ricerca non prova un nesso di causa-effetto diretto, ma mette in luce un collegamento forte e consistente tra consumo regolare di bibite dietetiche e rischio di diabete. Il messaggio per tutti noi è chiaro:
Sia le bevande zuccherate sia quelle “dietetiche” non dovrebbero essere considerate opzioni salutari.
La vera strategia di prevenzione passa da un consumo ridotto di bibite industriali e da una maggiore attenzione a bere acqua, tisane non zuccherate o altre alternative naturali.
Le politiche di salute pubblica, oltre a limitare lo zucchero, dovrebbero tenere in considerazione anche i dolcificanti artificiali.
La scelta di ciò che beviamo ogni giorno ha un impatto diretto e profondo sulla nostra salute a lungo termine. Non basta “togliere lo zucchero”: serve un approccio consapevole e informato, orientato a un’alimentazione realmente favorevole alla longevità.
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Anton SD et AL. Effects of stevia, aspartame, and sucrose on food intake, satiety, and postprandial glucose and insulin levels. Appetite, 2010, DOI: 10.1016/j.appet.2010.03.009
Imamura F et Al. Consumption of sugar sweetened beverages, artificially sweetened beverages, and fruit juice and incidence of type 2 diabetes: systematic review, meta-analysis, and estimation of population attributable fraction. BMJ, 2015, DOI: 10.1136/bmj.h3576
Kabthymer RH et Al. The association of sweetened beverage intake with risk of type 2 diabetes in an Australian population: A longitudinal study. Diabetes Metab, 2025, DOI: 10.1016/j.diabet.2025.101665
Suez J et Al. Artificial sweeteners induce glucose intolerance by altering the gut microbiota. Nature, 2014, DOI: 10.1038/nature13793





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